domenica 19 giugno 2016

papà e figlio

Ieri con Leila abbiamo concluso il percorso con bambini e genitori "e se mi emoziono?", da cui sono nate due nuove Fiabe col Guscio: "Piccolo Asteroide" e "Folletto Acrobata". Questa volta sono stati i bambini ad illustrarle, con l'aiuto anche dei loro papà.
In attesa di pubblicazione, le due fiabe andranno intanto, per ciascun bambino, a far parte di quel tesoro di ricordi, così importante per un figlio, soprattutto nei momenti critici che la vita normalmente riserva...

Ma volevo raccontare qui due riflessioni che ho maturato negli anni, durante le mie testimonianze alla relazione primaria padre/figlio:
ogni volta riscontro che i padri di maschi arrivano agli incontri preceduti da una "fama" che non rende loro giustizia... Dai vissuti che raccolgo in "anteprima", infatti, quando sta per arrivare l'incontro col papà temo sempre che sia faticoso, mentre poi sono puntualmente sorpresa dalle risorse e dalla attenzione e dalla generosità e dalla cura che questi "giganti buoni" ci mettono, nella relazione col proprio figlio!

Come può accadere questo?
Perché mi arriva una immagine così distante dalla realtà, fortunatamente poi smentita dai fatti?
Non voglio fare dei facili commenti sulle mamme scoraggiate, magari anche arrabbiate; non credo che origini da loro l'immagine svalutata del padre, è che loro fanno eco ( a volte pure amplificando) alla paura dei figli maschi di non poter accedere al rapporto con il loro omologo, magari anche di non sentirsene degni. La paura e lo scoraggiamento poi, non di rado generano rabbia e svalutazione.
La mia ipotesi di lavoro (ma tutti i colleghi che lavorano con l'approccio del "genitore omologo" confermano che è più di una ipotesi) è che le mamme diano voce ad una fatica e ad un timore dei figli maschi, i quali hanno contro anche condizioni ambientali avverse (il papà ha meno tempo a disposizione, l'ambiente educativo femminilizzato lo marginalizza).
Però, se la situazione non è troppo cristallizzata in un "non-accesso emotivo" alla figura paterna, questi maschietti possono  recuperare il legame, stupiti di sé e del benessere che possono provare, tanto quasi da ammutolire.

Questa è proprio l'esperienza che ho avuto anche stavolta:
ad esempio, il bambino della fiaba "Piccolo Asteroide" ha ascoltato a bocca aperta il papà raccontare la propria storia di quando era a sua volta bambino. E si è portato a casa, oltre al collage fatto assieme, il tesoro dell'aver condiviso col papà anche il gioco semplice del mettersi un po' di colla sulla mano, per vedere che effetto fa togliersela, una volta asciugata!
Invece, il bambino per cui ho scritto la fiaba "Folletto Acrobata", quasi è stato spiazzato dal constatare quanto lui e suo papà possano essere una bella squadra: sia nell'inventare camminate di animali, sia nel creare un collage molto ricco di particolari interessanti.

Posso concludere con una cosa: bambini, fidatevi del vostro papà, lui sa come siete, vi vuole bene!
(e anche, sottovoce: mamme, fidatevi del suo modo "maschile" di conoscere vostro figlio, è un maschio come lui! )




mercoledì 15 giugno 2016

figlie e... mamme che lavorano

copioincollo qui un articolo che avevo scritto per "Pillole di zucchero", ma poi è di ieri il post su Facebook di Silvana De Mari, a proposito del ruolo della donna... https://www.facebook.com/silvana.demari.5/posts/1721246031456544 e allora scusa a Pillole ma lo metto qua!

Le mamme che lavorano sono quelle che lavorano fuori casa, ovviamente: perché in casa lavorano gratuitamente, quindi non è un lavoro. Non possono nemmeno dire che sono “volontarie della Caritas – Crocerossa  – mensa dei poveri”, che farebbe più nobile: no,  quello che fanno in casa (e lo fanno, più o meno bene: ma non è richiesta la perfezione) loro lo fanno e basta. Una scrittrice che stimo molto, Paola Belletti, dice che si tratta di “vocazione”, ovvero qualcosa che non rientra nelle logiche di mercato: ma non fatevi ingannare, non vuol dire che non ha valore. E’ che non ha prezzo.
Finito il tono ironico - polemico.
Io sono una mamma che lavora.
Quello che riesco a fare in casa è visto con tenera compassione. Anche quello che faccio fuori casa, a dir la verità: perché il mio contributo economico alla famiglia è derubricato ad “arrotondamenti”.
Ma ho detto che avevo terminato, col tono polemico.
Scusate.
Dicevo: sono una mamma che lavora. Mi piace fare il mio lavoro di pedagogista e psicologa, così come anche il lavoro di casa, dà le sue soddisfazioni. Col tempo, però, ho trovato (ho dovuto trovare) dei compromessi:  sono su misura per me, nemmeno per tutta la mia famiglia, ma va già bene così.
Compromesso numero uno:
se qualcuno vuole fare qualcosa che io ho lasciato indietro nei lavori di casa, NON sarà criticato. Anzi.
Una conseguenza, a caso, di questo compromesso, è che a casa mia si scorgono vagabondare, con aria smarrita, alcuni ninnoli dell’albero dello scorso Natale, ma anche della Pasqua di qualche anno fa. Il lavoretto della quinta primaria di Francesco, è un esempio: un bellissimo ovetto di polistirolo completamente ricoperto di paillettes fissate con spillini piccolissimi.
No comment. 
Ho detto che NON criticherò. 
Ma nemmeno mi si critichi la mia esitazione nel trovare un posto a tutto.
Compromesso numero due:
il lavoro che faccio è quasi totalmente compresso nell’orario scolastico dei figli, oppure nell’orario di sonno e riposo canonici.
Sono arrivata faticosamente a questo risultato dopo che Emma, ancora alla scuola d’infanzia, ha inventato una canzoncina mentre giocava con le bambole, a casa di mia mamma. Quest’ultima me l’ha prontamente registrata e impietosamente fatta ascoltare al mio ritorno, il testo è il seguente:
“Devo lavorare,
non posso farci niente!
Mi dispiace tanto,
ti devo lasciare
sennò non posso lavorare!
E io lo devo ASSOLUTAMENTE FARE!
Sono molto occupata,
devo andare via,
forse giocheremo, dopo in compagnia!”
(La melodia valorizza adeguatamente il testo).
Quando Emma ha visto la mia reazione di annichilimento, si è subito affrettata ad inventarsi una ulteriore strofa: “e ora sono tornata, mangeremo l’insalata, ci daremo una abbracciata…” meno convincente, non trovate anche voi?
Comprenderete, col mio lavoro di pedagogista e psicologa non posso predicare bene e razzolare male: la bambina aveva espresso creativamente una propria frustrazione. Dovevo farmene carico, o non ero più credibile.
Così non tengo più conferenze alla sera, e al pomeriggio vado solo a riunioni di classe o a impegni vari dei figli.

Spesso non vengo capita.
Spero da voi sì!

Piccolo sequel di figlie di mamme che lavorano:
ho registrato la canzoncina di Emma che, per l'occasione, si è degnata di migliorarla ...